Florestano Vancini
La storia in forma di cronaca
Florestano Vancini, regista e sceneggiatore
cinematografico italiano, è nato a Ferrara nel 1926 ed è morto a Roma nel 2008.
L'amore per la terra natale, specie per il
delta del Po, ha animato i suoi esordi, mentre tutta la sua carriera è stata
caratterizzata dall'interesse per i temi storico-politici. Dopo alcuni
pregevoli documentari (Alluvione,
1950; Il
delta padano, 1951; Uomini soli, 1959)
esordì nel lungometraggio con La
lunga notte del '43 (1960, tratto
da un racconto di G. Bassani
e premiato alla Mostra del
cinema di Venezia quale migliore opera prima).
Tra i film di questo periodo, in cui nei
momenti migliori è riuscito a coniugare l'osservazione realistica e l'impegno
politico con le qualità spettacolari, si ricordano: La banda Casaroli (1962); Le
stagioni del nostro amore (1965, vincitore al Festival di
Berlino del 1966); Bronte -
Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato
(1972), in cui denuncia come una macchia sull'epopea
garibaldina del 1860 la spietatezza di cui i 'liberatori', guidati da Nino
Bixio, diedero prova nella repressione della rivolta contro i proprietari
terrieri scoppiata in quel centro agricolo del catanese. Il successivo Il delitto Matteotti (1973),
focalizzato sul consolidarsi della dittatura fascista dopo il rapimento e
l'assassinio di G. Matteotti,
ha costituito la conferma dell'impegno politico di Vancini.
Lontani dall'asciutto impianto delle due
opere precedenti, ma al tempo stesso privi di un efficace rinnovamento
artistico, sono risultati Amore amaro (1974)
dal racconto Per cause imprecisate di
C. Bernari,
e Un dramma borghese (1979)
dal romanzo di G. Morselli,
entrambi incentrati su tormentate passioni, La
baraonda - Passioni popolari (1980) sul mondo del ciclismo, e La neve nel bicchiere (1984)
tratto dal romanzo di N. Rossi, sulle vicende di una famiglia di contadini
dalla fine dell'Ottocento agli anni Venti.
In seguito Vancini si è dedicato
all'attività televisiva, realizzando tra l'altro le serie La piovra 2 (1986), Piazza
di Spagna (1993) e Ferrara
(1995).
Tornato alla
regia cinematografica dopo 21 anni con E ridendo
l'uccise (2005), lungometraggio ambientato nella corte degli Este della
Ferrara del Cinquecento,
veva egli stesso presentato questa pellicola come il
suo ultimo lavoro.

La banda Casaroli
Regia
Florestano Vancini
Interpreti
Renato Salvatori, Gabriele Tinti, Jean-Claude Brialy,
Tomas Milian, Mariella Zanetti
Sceneggiatura
Florestano Vancini, Federico Zardi
Produttore
Dino De Laurentis
Italia, 1962, b/n, 100 min
PAOLO CASAROLI
IL BANDITO
"EDUCATO" DALLA GUERRA (di Paolo Deotto)
Bologna, sabato
16 dicembre 1950, alle ore 13.40 gli agenti di Pubblica Sicurezza Giuseppe
Tesoro e Giancarlo Tonelli si fermano per un controllo in via San Petronio
Vecchio, al numero 44. L'appartamento di Casaroli è al pianterreno, prima porta
a destra nell'androne. Bussano, e viene ad aprire la sorella di Paolo. Dice di
attendere un attimo, poi invita Tonelli ad entrare. Tesoro è rimasto al
portone. Casaroli sta pranzando tranquillamente con Ranuzzi, Farris è invece
nella sua stanzetta nel sottotetto. Tonelli conosceva già Ranuzzi, lo aveva
arrestato qualche anno prima, ma non si aspettava di trovarlo lì; invita quindi
entrambi a seguirlo in questura. I due si alzano dal tavolo ed estraggono
fulmineamente le pistole. Il poliziotto viene disarmato, ma cerca di spaventare
i due delinquenti con un bluff: "Fuori è pieno di poliziotti, dove sperate
di andare?". Per tutta risposta Ranuzzi gli tira un violento pugno in
faccia e scappa insieme a Casaroli. Nell'androne i due incontrano l'agente
Tesoro e lo ammazzano con due colpi al cuore, poi si impadroniscono della sua
pistola e continuano la fuga in strada. Giancarlo Tonelli si è riavuto in pochi
istanti, è disarmato, ma non esita a lanciarsi all'inseguimento: una pallottola
all'inguine lo ferma, ma ha ancora la forza di gridare: "Fermateli! Sono i
banditi di Roma! Assassini!".
Gli spari e le
grida hanno attirato l'attenzione di molti passanti; Casaroli e Ranuzzi,
entrambi con due pistole in pugno, imboccano di corsa la via Remorsella, una
laterale che porta sulla centralissima via Santo Stefano. Ora echeggiano altri
spari: carabinieri, poliziotti e vigili urbani sono all'inseguimento dei due
banditi, che tentano un'impossibile fuga saltando in corsa su un tram e
ingiungendo al manovratore di accelerare. Questi, Gaetano Cotti, dimostrando un
sangue freddo non comune, rallenta e i due allora saltano giù, corrono verso un
parcheggio di taxi. Un commerciante, Mario Chiari, ex brigadiere dei carabinieri,
tenta di fermarli gettando tra le loro gambe la bicicletta e viene freddato
all'istante. Ormai Casaroli e Ranuzzi hanno completamente perso la testa.
Uccidono anche un tassista, Antonio Morselli, che anziché caricarli sulla
propria vettura era fuggito spaventato. Tallonati ormai da vicino dai tutori
dell'ordine, i due folli pistoleri, dopo aver ferito il vigile urbano Luigi
Zedda, che aveva puntato contro di loro la pistola, cercano di impadronirsi di
una giardinetta di passaggio: ma la donna che è alla guida si spaventa, va a
finire contro una delle colonne dei portici, e l'auto è inutilizzabile. Allora
i due criminali bloccano un'Ardea, con a bordo due medici, i dottori Azzolini e
Possati. Azzolini, alla guida, viene strappato fuori dall'auto, ma Casaroli e
Ranuzzi non sono più in grado di connettere: non si accorgono che Azzolini ha
la prontezza di estrarre le chiavi dal cruscotto, mentre Possati, spaventato,
si lascia scivolare davanti al sedile di destra. Casaroli balza al posto di
guida, Ranuzzi apre la portiera posteriore, e proprio in quel momento un
proiettile lo raggiunge all'addome. Come riferirà poi il dottor Possati, Romano
il bello si accascia sul divano posteriore dell'Ardea, dice freddamente:
"Ciao, Paolo", poi si spara un colpo in testa. Casaroli si rende conto che non può avviare
l'auto, e ne esce di corsa, sparando a casaccio, ma ormai il cerchio degli
uomini della legge si è stretto: una diecina di colpi lo raggiungono e
stramazza al suolo. Sono le ore 13.55; la follia ha imperversato per un quarto
d'ora, solo un quarto d'ora, che è sembrato eterno. Ora è tutto finito, con un
bilancio tragico: tre morti ammazzati, un suicida, due feriti gravi (il
poliziotto Tonelli e il vigile Zedda) e Casaroli che giace sull'asfalto; sembra
morto, e questa è la voce che subito circola per Bologna e viene anche
pubblicata per errore da un giornale del pomeriggio. Ma è ancora vivo, nessuno
dei colpi che lo hanno raggiunto era mortale. Viene ricoverato in ospedale,
nella stessa corsia in cui si trova l'agente di polizia Giancarlo Tonelli.
E Daniele
Farris? Dalla sua stanza nel sottotetto aveva sentito i primi spari, era sceso
in strada, confuso tra la folla; anche a lui erano giunte le voci che i due
folli pistoleri erano Ranuzzi, che si era sparato, e Casaroli, che era stato
ucciso dalla polizia. Per Farris crolla tutto.
Alle ore 20 di
quel tragico sabato, nel cinema Manzoni di Bologna, viene interrotta la
proiezione e si accendono le luci. Si è udito uno sparo. In una poltrona di
galleria c'è un giovanotto con la camicia macchiata di sangue. E' morto,
stringe ancora in pugno una pistola. La polizia gli trova in tasca una carta
d'identità falsa, intestata a Giuseppe Raspadori, di anni 30, e un biglietto:
"La faccio finita, non per paura o vigliaccheria, ma solo perché ho il
rimorso di non essere stato vicino ai miei amici e specialmente a Paolo nella
sua ora estrema. Non mi pento di nulla, ho fatto tutto ciò che volevo. Paolo,
mantengo la promessa, ti seguo". Non ci volle molto a scoprire
che il sedicente Raspadori era in realtà Daniele Farris, che, convinto della
morte di Casaroli, si era tolto la vita."