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   Marco Bellocchio                                                                                                                 I pugni in tasca

Schede
registi e
film


Mario Monicelli: il padre della commedia all'italiana

Elio Petri: il cinema di qualità al servizio dell'impegno politico

Pietro Germi: vizi e peccati della provincia italiana

Marco Bellocchio: il cinema gridato

Dino Risi: cartoline dall'Italia che cambia

Florestano Vancini: la storia in forma di cronaca

Antonio Pietrangeli: ritratto al femminile

Ettore Scola: viaggio tra sogni e speranze



Marco Bellocchio

     Il cinema gridato

Marco Bellocchio durante la lavorazione del film Sorelle Mai

 

   Cresciuto in una famiglia borghese della provincia emiliana (il padre avvocato, la madre insegnante), dopo aver frequentato tutte le scuole in Istituti religiosi ed essersi iscritto alla facoltà di Filosofia dell'Università Cattolica di Milano, nel 1959 si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma.

  Dopo aver seguito, a Londra, i corsi di cinema della 'Slade School of Fine Arts' (dove elabora una tesi sul cinema di Antonioni e Bresson), nel 1965 fa il suo esordio alla Mostra del Cinema di Venezia con "I pugni in tasca", opera che affronta il progressivo sgretolamento dei valori su cui si basa la famiglia. Negli anni successivi si avvicina al cinema militante: il suo anticonformismo (e le sue tendenze ideologiche di estrema sinistra), trovano uno sbocco in film come "La Cina è vicina" (1967) e "Nel nome del padre" (1971). Nello stesso periodo allestisce al Piccolo Teatro di Milano un'edizione politicizzata del "Timone d'Atene", di William Shakespeare. Minor successo hanno invece film come "Sbatti il mostro in prima pagina" (1972) sul mondo del giornalismo, e "Matti da slegare" (1975) sui manicomi italiani, scritto con Silvano Agosti, Sandro Petraglia e Stefano Rulli.

  Dopo "Marcia trionfale" (1976) sugli ambienti delle caserme e del servizio militare, Bellocchio si dedica alla televisione con due produzioni: la regia del "Gabbiano" di Cechov (1977) e l'inchiesta collettiva "La macchina cinema" (1978). Nel 1982 - diciotto anni dopo "I pugni in tasca" - torna ad analizzare il suo passato familiare con "Gli occhi, la bocca" cui fanno seguito, nel 1984 "Enrico IV" (tratto dalla commedia di Luigi Pirandello) e "Il diavolo in corpo" (1986) una libera interpretazione del romanzo omonimo di Raymond Radyguet. Dopo "La condanna" (1991), vince l'Orso d'Argento al Festival di Berlino con "Il sogno della farfalla" nel 1994. Nel 1999 realizza "La balia" (tratto da una novella di Pirandello) che vince il David di Donatello per i costumi e quattro Ciak d'Oro, per la migliore attrice non protagonista, la fotografia, la scenografia ed i costumi.

  Nel 2003, con "Buongiorno, notte", ottiene a Venezia il premio per il contributo artistico individuale di particolare rilievo. Tre anni dopo è al festival di Cannes con "Il regista di matrimoni", film che ottiene anche i Nastri d'argento per il miglior soggetto e montaggio. Il 2008 lo vede ancora una volta protagonista a Cannes con "Vincere", un dramma che porta alla luce la storia d'amore segreta tra il Duce e la trentina Ida Dalser, che vale alla protagonista Giovanna Mezzogiorno il Nastro d'argento come migliore interprete femminile. Nello stesso anno partecipa anche al documentario "Negli occhi" che la stessa Mezzogiorno ha dedicato a suo padre Vittorio e che viene proposto nella sezione 'Controcampo italiano' della 66^ Mostra del Cinema di Venezia.

  Nel 2010, Bellocchio è ancora ospite d'onore al Festival di Venezia con il film "Sorelle Mai", composto da sei episodi girati in sei anni, compresi tra il 1999 e il 2008, e puntuale proseguimento di "Sorelle", mediometraggio realizzato quattro anni prima in collaborazione con gli studenti del laboratorio “Fare Cinema”. Interpolando le immagini digitali con la pellicola in bianco e nero del suo debutto, Bellocchio torna ad abitare la casa dei Pugni in tasca affollandola di parenti, amici, comparse e attori.

I pugni in tasca

I pugni in tasca

 

Regia:  Marco Bellocchio

 

Interpreti: Lou Castel (Alessandro), Paola Pitagora (Giulia), Marino Masé (Augusto), Liliana Gerace (La madre), Pierluigi Troglio (Leone), Jenny MacNeil (Lucia), Irene Agnelli (Bruna)

Sceneggiatura: Marco Bellocchio

Musica: Ennio Morricone

Montaggio: Silvano Agosti (con lo pseudonimo di Aurelio Mangiarotti)

Italia, 1965, b/n, 105 min

Dopo tre cortometraggi girati durante i corsi al Centro Sperimentale, Bellocchio esordisce a 26 anni con la storia feroce e gioiosa di una famiglia tarata: l'uccisione della madre cieca, precipitata con l'inganno nel burrone, rappresenta la sintesi perfetta dei due sentimenti.

Umorismo nero che il regista maneggia con sapienza,

una brutalità dietro l'altra: la madre, il fratello scemo, la paralisi di Giulia, l'attacco epilettico, il mancato soccorso.

Non è estranea a tanta allegra efferatezza la recente sovversione linguistica della nouvelle vague, né siamo troppo lontani, stile a parte, dalle dissacrazioni dell'anarchico Buñuel.

Il ritmo non è mai concitato: pause frequenti, esitazioni estatiche, sospensioni ingiustificate imprimono al film un andamento "riflessivo".

La storia della famiglia borghese assume a poco a poco i contorni grotteschi di un'orribile caricatura: morire per epilessia al canto della Traviata verdiana è il massimo della perversione dissacratoria.

 

(Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario dei capolavori del cinema, B. Mondadori, 2004)