Terrence Malick

La rabbia
giovane (Badlands)
Regia: Terrence Malick
Cast: Martin Sheen, Sissy Spacek, Warren Oates
Sceneggiatura: Terrence Malick
Fotografia: Tak Fujimoto,
Stevan Larner, Brian Probyn
USA, 1973, 93 minuti
Dopo un primo passo verso il cinema con un cortometraggio
dal titolo Lanton Mills del 1972 (interpretato
da Warren Oates e Harry Dean Stanton), Malick finanzia personalmente il suo
primo lungometraggio indipendente, Badlands,
tratto dalla storia vera di una coppia che negli anni Cinquanta viene travolta
da un’ondata di criminalità.
Fin da subito si capisce che ciò che interessa Malick
non è propriamente la storia, raccontata in modo antiretorico e privo di ritmo
narrativo (tipico della New Hollywood), quanto la fragile condizione umana,
debole e vuota, incapace di confrontarsi con la realtà e per questo marginale.
I due protagonisti sembrano interpretare personaggi
secondari rispetto al vero “attore” del film: la natura e il mondo selvaggio
quasi pre-industriale delle badlands
attraversate da Holly e Kit.
E’ in questo rapporto uomo/natura la vera scelta,
etica e filosofica più ancora che stilistica, di Malick, che rappresenterà il
marchio indelebile di tutta la sua produzione cinematografica, ripresa dopo
vent’anni di inattività con La sottile
linea rossa e continuata fino al recente To the Wonder.

I
giorni del cielo (Days of Heaven)
Regia: Terrence Malick
Cast: Richard Gere, Brooke Adams, Sam Shepard, Linda Manz
Fotografia: Néstor Almendros,
Haskell Wexler
Musica: Ennio Morricone
USA, 1978, 94 minuti
Cinque anni dopo Badlands,
Malick torna alla regia per raccontare la storia di un melodramma amoroso
ambientato nei primi del Novecento in Texas. Il film riprende il tema caro al
regista del rapporto tra le figure
umane, con la loro ambiguità emotiva e sentimentale, e la doppiezza della
natura, entrambi incapaci, come in Badlands,
di distinguere tra il bene e il male.
Malick è sempre stato particolarmente attento
all’utilizzo del mezzo cinematografico in tutto il suo potenziale, dalla
fotografia di Néstor Almendros che utilizza ogni curatissima immagine per
creare armonia (una delle migliori fotografie del cinema), al commento sonoro e
musicale di Ennio Morricone, all’utilizzo della voce over, la cifra stilistica più personale e originale che
accompagnerà Malick in tutti i suoi film successivi. Se da una parte la voce over serve per raccordare
inquadrature frammentate che faticherebbero a stare insieme, dall’altra,
proprio per i suoi commenti così slegati dalla storia, crea quel distacco straniante (quasi brechtiano) che libera lo spettatore dall’immedesimazione, così da fargli
cogliere meglio gli aspetti stilistici e simbolici meno immediati del film.
